(Antonio Liotta)—Sono quasi le ore otto e improvvisamente il cielo si oscura, diventa quasi nero. Vento, tuoni e lampi riempiono l’aria mentre scende una pioggia sempre più intensa. Le strade si trasformano in fiumi, le macchine restano inglobate, si fermano. Dalla parte alta del paese scendono colonne d’acqua tumultuose che invadono le case.
La zona di Via Agrigento è impraticabile, così come Via Capitano Callea dove le macchine nuotano; Via Umberto è un fiume in piena che si riversa verso il collettore che conduce al Vallone Cicchillo.
Qui, in poco tempo, l’acqua è altissima.
Qui la Signora Marianna Bello decide di uscire dalla sua macchina per dirigersi verso il locale negozio di frutta e verdura.
Non ci arriverà mai, perché l’acqua, con la sua potenza, la trascina verso la bocca del collettore, la sommerge, la fa scomparire.
Non serve a niente il generoso soccorso effettuato del titolare del negozio alimentare: la potenza dell’acqua vince senza sforzo, sconvolge la vita di diverse famiglie, rende Favara un luogo di dolore e sofferenza.
Tutto succede tra le ore otto e le otto e venti. Venti minuti di diluvio… con il cielo nero che ha creato danni strutturali, materiali, etici e che ha saputo seminare morte