Lun. Ago 25th, 2025

L’ OCCUPAZIONE   DI   GAZA

di Rocco Agnone*- L’inizio dell’occupazione di Gaza, già abbondantemente martoriata con le sue migliaia di vittime civili e le condizioni di vita subumana provocate, nonché l’accentuarsi dell’azione invasiva di coloni nella Cisgiordania hanno suscitato qualche espressione di dissenso da parte di alcuni governanti del c.d, mondo occidentale. Finora si tratta di parole che tendono a salvare la faccia senza che vengono annunciate azioni efficaci in relazione ai rapporti reali con chi governa Israele, tra cui quelli economico-commerciali, con riguardo in particolare al commercio delle armi e dei sistemi di sicurezza. Per quanto riguarda i governanti italiani, alcuni  hanno mosso qualche critica un po’ più marcata rispetto al passato. Permane, però, l’opposizione del governo italiano in sede U.E. a ogni possibile mossa contro Israele e  il rifiuto di dare esecuzione al mandato di arresto che pende su Netanyahu, peraltro definito “un eroe di guerra” da Trump.  Permangono anche i rapporti economico-commerciali, compreso quello, molto censurabile, delle armi. Risultato dei comportamenti, ancora improntati a relazioni complici, è quello, secondo N.Throll, scrittore ebreo americano, intervistato da Repubblica, che “Israele non ha segnali concreti che gli facciano temere di dovere pagare un prezzo troppo alto”. Quello che è successo e sta succedendo a Gaza e in Cisgiordania non ha alcuna giustificazione. In tal senso non si può fare ricorso, come giustificazione, all’azione di Hamas, agli ostaggi ancora detenuti e in definitiva alla necessità di difendere l’esistenza dello Stato di Israele. Una tale difesa non è per nulla compatibile con l’uccisione di migliaia di bambini, con la creazione di condizioni di vita molto penose per una intera popolazione, con l’occupazione indebita di territori. In realtà il governo israeliano vuole portare al suo massimo il prezzo pagato dai palestinesi per la costituzione dello Stato di Israele. Allora migliaia di palestinesi furono  costretti con un notevole disagio a lasciare il posto dove erano vissuti per spostarsi altrove. Allora come compensazione fu prevista la nascita di un loro stato. Oggi l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania evidenzia il piano, precedentemente formulato, di estendere a tutta la Palestina lo Stato di Israele eliminando in modo cruento la possibilità di esistenza dell’altro  Stato originariamente prevista. Quindi è chiaro che la posizione reale di diversi stati avrebbe dovuto e dovrebbe essere molto diversa. Qualche aggiustamento, poi, dovrebbe caratterizzare anche l’azione di qualche autorevole personaggio che pur condanna con sincerità la situazione creatasi a Gaza e fortemente desidera che abbia a cambiare. Mi riferisco a papa Leone xiv, che continuamente incita a ritrovare la pace e a fare cessare gravi sofferenze. Ritengo, però, che a questa condivisibile posizione qualcosa vada aggiunto. Occorre esprimere fortemente un’indignazione profonda per le violenze che da tempo vengono perpetrate. Non ci si può limitare solamente ad invocare trattative diplomatiche per la cessazione dello status quo o ad auspicare un ravvedimento spontaneo dei responsabili. Lui in quanto papa e, quindi, in quanto testimone del Dio di Gesù deve svolgere pienamente quel ruolo profetico adeguato agli eventi. Deve trarre ispirazione da una affermazione, e non solo quella, del profeta Isaia, il quale scrisse:” La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento”. Le violenze che si stanno perpetrando per la loro natura debbano cessare e basta. Non possono essere subordinate ad eventuali trattative. La parola del papa dovrebbe essere appunto una verga che ben mette in evidenza violenze,  violenti, complici delle violenze e, di fronte all’evidente mancanza di volontà di porre fine alla propria azione cruenta o di volerne seriamente discutere, far capire chiaramente a tutti i  governanti del mondo che, in quanto tali, hanno li preciso dovere di non essere a vario titolo complici, anzi, al contrario,  di attuare o concorrere ad attuare il bene comune. Quindi, debbono adottare nei confronti dello Stato di Israele una serie di misure concrete che lo mettano in difficoltà. Il papa, inoltre, nei suoi appelli al raggiungimento della pace invita alla preghiera e recentemente anche al digiuno. In quanto a quest’ultimo, a cosa servirebbe il digiuno? Forse, come da tradizione, ad espiare o prevenire i peccati? L’unico digiuno sostenibile potrebbe essere quello che, in un clima di protesta, vuole esprimere condivisione con i palestinesi che stanno patendo la fame. Sempre da Isaia viene affermato che Dio non gradisce sacrifici o olocausti perché a Lui interessa solo la ricerca della giustizia, il soccorso dell’oppresso, la giustizia resa all’orfano e la difesa della causa della vedova. Per quanto riguarda la preghiera, forse, si ritiene che, pregando, Dio, ritenuto autore o gestore diretto della storia degli uomini, consentirà la realizzazione della pace? Però da sempre l’invito a questo tipo di preghiera è stato fatto, ma si è visto quante brutture hanno continuato a imbrattare il volto del mondo (si riaprirebbe il problema posto con la domanda sul perché dell’assenza di Dio dai campi di concentramento). La preghiera non è forse meglio intenderla come una comunicazione di ogni singolo uomo con l’humus divino che è in lui per scoprirlo e testimoniarlo? La storia sarebbe opera degli uomini che avrebbero la responsabilità di dare visibilità a quell’humus che è in loro? Dice Etty Hillesum, la martire ebrea uccisa ad Auschwitz, nel suo diario:” Si, mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali…Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutare, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”. Non sarebbe, dunque, Dio dall’alto a modificare gli eventi storici, ma sono gli uomini che responsabilmente debbono testimoniare con vigore e adeguatezza i l valore profondo dell’amore che debbono scoprire alla radice di se  stessi. (*già Provveditore agli studi di Ragusa)           

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