(di Francesco Principato- fotogallery di Diego Romeo) Se Plauto è considerato il più prolifico autore della “palliata”, la commedia latina che prende per spunto o per bersaglio la tragedia greca, Emilio Solfrizzi con il suo Anfitrione non si limita a porre le basi della sua interpretazione e regia nel passato della letteratura classica: il suo servo Sosia guarda al futuro, guarda al presente. E se Plauto si diverte a portare in scena gli dei dell’Olimpo molto umanizzati nei vizi e nei difetti, Solfrizzi li rende addirittura personaggi dalla vita attuale e della moderna virtualità. D’altronde la trama sembra il riflesso di odierne frustrazioni: esistiamo solo in quanto appariamo?
Giove e Mercurio si materializzano sula terra nelle persone del condottiero Anfitrione e del servo Sosia, affinché il sovrano dell’Olimpo possa giacere con la bellissima Alcmena, moglie del milite. Ma alla fine della guerra ci saranno due coppie a rivendicare l’originalità: i Sosia lotteranno per imporre la propria personalità, mentre gli Anfitrione per rivendicare casa, moglie e la paternità dei due gemelli concepiti da Alcmena, uno con Giove e uno con l’umano marito.
Se la commedia Anfitrione è considerata capostipite del teatro moderno, la regia di Emilio Solfrizzi ne da chiari esempi in scena: i tempi comici sono da commedia dell’arte; ritmi e movimenti richiamano a Molière; a Goldoni sembrano ispirarsi i personaggi del servus callidus, lo scaltro Sosia e del servus currens, parodia opposta del messaggero greco (interpretato da un divertente Cristiano Dessì); anche la pochade francese fa capolino nel “vanto di mascolinità” di Giove, interpretato ottimamente da Giancarlo Ratti. Tutto il teatro comico è formulato come in un excursus storico.
E poi ci sono le digressioni attuali di Solfrizzi, citazioni moderne più che divagazioni: si ride di cuore e di pancia a vedere l’imitazione di AmaZeus e i suoi pacchi, si applaude alla chiosa di Filomena Marturano che nega la corretta attribuzione di paternità dei figli, perfino il cartoon Re Leone trova la sua citazione. E poi si sbeffeggia la modernità insulsa o la piaggeria ruffiana, le cadenze e il linguaggio da influencer: la semplice commedia degli equivoci diventa anche satira sociale. E il merito non è solo della regia o del protagonista, la propensione al divertimento del pubblico è impegno di tutto il cast che dimostra affiatamento e sincronismo.
I cinque atti Plautini diventano cento minuti di comicità grazie anche alle interpretazioni argute degli altri ottimi attori: Viviana Alteri è una autorevole Alcmena, moglie fedele e al contempo giunonica; Ivano Falco, Mercurio e il falso Sosia, funge da spalla attenta e perspicace a cogliere anche l’improvvisata; la giovane Beatrice Coppolino, l’ancella di Alcmena, si disimpegna egregiamente anche in monologhi che sembrano talmente casuali da trasformarsi in umorismo, come anche il ruolo di Rosario Coppolino. Le risate hanno risuonato per quasi tutti i cento minuti di spettacolo e gli spettatori non hanno aspettato le pause per tributare gratificanti applausi alla compagnia.
All’epilogo della Palliata, risolta ogni diatriba su soggettività, personalità e paternità, il cast ha ringraziato in proscenio il pubblico e poi è rientrata nella scenografia di Fabiana Di Marco, che chiuse le ante, è diventata un carro di Tespi, pronto a raggiungere altre platee.
Francesco Principato
Visto al Teatro dell’Efebo di Agrigento









31/07/2025
voto 3,5/5