(di Francesco Principato-fotogallery di Diego Romeo)—Pubblico di ogni età ieri sera al teatro Palacongressi di Agrigento. Studenti delle superiore hanno compostamente assistito al terzo spettacolo del cartellone Riflessi Culturali promosso dal Parco Archeologico della Valle dei Templi. Accanto ai giovani studenti sedevano in platea appassionati di ogni età, quelli attratti dal nome del regista e autore della sceneggiatura Marco Tullio Giordana e del protagonista Geppy Gleijeses, quelli che non si sono fatti scoraggiare dall’avvenuta messinscena di Giorgio Marchesi dell’anno scorso.
Dal classico letterario al palcoscenico: l’ardua sfida di Tullio Marco Giordana.
Il romanzo di Luigi Pirandello è sicuramente un classico della letteratura del Novecento, uscito a puntate nel 1904 e poi ripubblicato in volume lo stesso anno. La storia narrata non crediamo che ancora ci sia chi non la conosca anche solo per averla dovuta studiare nelle scuole medie o superiori e magari per aver temuto l’interrogazione sull’uomo che simulò due suicidi, che diventò un altro come Adriano Meis per poi tentare di riappropriarsi della vita sospesa per più di due anni. Un romanzo che in qualsiasi edizione si avvicina alle trecento pagine, un tomo corposo che aldilà della trama è quasi un manifesto del concetto pirandelliano, un’anticipazione delle commedie scritte e rappresentate, un’esposizione delle nuove idee del nuovo millennio, un’anteprima dei concetti della ‘crisi dell’io’ e del ‘doppio’, dell’umorismo e del relativismo psicologico, la prima esposizione del ‘Lanterninismo’ di Luigi Pirandello. L’impresa dell’autore dell’adattamento nonché regista Marco Tullio Giordana di riportare tutto questo in due ore di spettacolo teatrale è un cimento complesso e astruso, nonché audace. Il maggior rischio è la spersonalizzazione originale dell’opera e la realizzazione di una visione personale dell’ispirazione originale. Perché con tutto l’impegno e la fatica di rielaborazione, obbligatoriamente si dovrà operare una selezione: cosa e in che quantità mantenere del testo originale, cosa minimizzare e cosa rimarcare, cosa ignorare. E’ inevitabile quindi ‘tradire’ l’autore, per quanto ci si sforzi di restarne fedele.
La messinscena fra narrazione e rappresentazione ‘dal vivo’.
‘Show, don’t tell‘, tecnica narrativa di derivazione anglosassone e molto usata in cinematografia, è stata ben usata dallo sceneggiatore e regista Giordana, anche se l’ha alternata alle narrazioni dello stesso Mattia Pascal e del sacerdote don Eligio (un impeccabile Totò Onnis). Un ricorso all’esposizione necessario per colmare salti temporali o reminiscenze che si ripetono anche nell’analessi e nella fabula del romanzo. Ne viene una commedia che alterna brani integrali della narrazione a scene ideate radicalmente e ‘mostrate’ come frammenti cinematografici. Il risultato è una rappresentazione che alterna momenti di vivacità e di buona cadenza, a momenti di lenta evoluzione della storia. Se a questa assenza di costanza di ritmo si aggiunge una recitazione spesso meditata del Mattia/Reis interpretati da Geppy Gleijeses, la commedia in certi frangenti diventa monotona, quantunque il mestiere del protagonista cerchi di rompere il tedio con arguzie sottolineate da salti tonali a volte eccessivi (chissà se in questi frangenti solo a noi è venuto in mente Dario Fo).
Un ottimo cast ha dato il meglio del proprio mestiere.
Gli attori in scena e la direzione sono stati il punto di forza di questo allestimento. Di Geppy Gleijeses si conoscono il mestiere e l’attitudine a stare in scena e a interpretare personaggi difficili e dalle mille sfaccettature. Il suo Mattia Pascal è davvero originale: sfugge la tragicità mostrando un personaggio spregiudicato, disincantato, quasi superficiale. Interpretazione perfetta ma questa lettura del personaggio non sembra riuscire a trasferire alla platea la sua drammaticità interiore: il pathos non serpeggia fra le poltrone.
Marilù Prati interpreta la vedova Pescatore (ma anche la medium Caporale della seconda parte), suocera insopportabile che aizza il genero alla fuga dal focolare domestico; è convincente nel riportare sul palco l’odio rancoroso nei confronti di Mattia Pascal, recita il principale personaggio dell’antagonista con un voluto eccesso che riporta lo stile recitativo ante ‘realismo teatrale’. Molto composte ed espressive le performance degli altri attori che completano il cast, anche in doppi ruoli.
Non ci sono state comunque manifestazioni di grande apprezzamento da parte del pubblico e gli applausi si sono avuti solo a chiusura del sipario.
Forse ritmi spessi lenti, proiezioni scenografiche sfocate e luci velate e cupe non hanno contribuito a tenere molto acceso l’interesse del pubblico.
O forse è complesso e arduo per tutti portare a teatro quel che commedia non è.






























