Lun. Ott 27th, 2025

LORENZO REINA L’UOMO CHE PARLA CON LE STELLE

 (brano tratto dal libro “Metàversi apocrifi” di Giuseppina Iacono Baldanza  editore Carlo Saladino)

Ho conosciuto un artista, un vero artista, di quelli che la natura si diverte a farne regalo una volta tanto.

Fu un regalo persino il modo con cui lo conobbi: il caso o perché doveva accadere. Era stato insignito del premio “Alessio Di Giovanni” e lo vidi sul palco. Un cappellaccio in testa e un paio di spalle che sprigionavano la forza di chi lavora i massi. Conoscevo la sua storia e la sua arte. “Non andrò via se non prima d’aver sentito la sua voce” mi dissi testardamente.

Mi alzai e, tra mille difficoltà, lo raggiunsi. Lui si girò. In quel preciso istante fui sopraffatta da una vampata di calore, la stessa che t’acchiappa per un’emozione o per pudore. Lo sguardo è una trappola molto potente: può essere inganno, innamoramento, simbiosi, complicità.

“Ma perché ho sentito d’averti conosciuto da sempre? Come può essere?” gli dissi tanto tempo dopo.

“Le anime si riconoscono”. Fu la sua risposta “Il difficile è trovare quelle belle” mi disse .

“Anima bella” prima ancora che artista: questo è Lorenzo Reina.

La prima volta che varcai la fattoria, mi venne incontro una scultura bronzea posta su una colonna. Mi fermai e la osservai attentamente.

“È mio padre. Voleva che crescessi tra pecore e cani” lo disse come se quell’uomo da quel posto non si fosse mai allontanato né da vivo né da morto, pretendendo dal figlio serietà, competenza e impegno. È ancora lì, tra quei monti, a fare da guardia alle stalle, ai pagliari, ai suoi vecchi arnesi, perché niente venga disperso e tutto viva in perfetta armonia con la magia dell’arte. In quel volto riconobbi il mio di padre: scarno, rugoso, senza età, avvezzo alla fatica e a una vita che ha per te pochi regali in serbo.

“Si chiama Libero ed è nato il primo maggio da padre socio- anarchico nel tempo delle lotte contadine”. I suoi occhi penetranti raccontavano come di chi non ha bisogno di parole.,

così la sua arte. Cominciai a camminare a ritroso come un granchio. E se tutto partisse da quel lontano passato? Due rivoluzionari: il nonno e Lorenzo di cui porta il nome.

Epoche diverse e modi diversi, s’intende, ma ambedue rivoluzionari. Una volta, in una conversazione, mi confidò “fin da piccolo mi sono ribellato al fatto che due per due fosse per tutti quattro, io avrei voluto un altro numero che mi distinguesse dal pensiero comune”. La sua arte nasce da quelle fondamenta e le ore, immobile da guardiano del gregge, tra i monti Sicani, non era il tempo regalato al tempo ma il tempo per la contemplazione: la più alta forma di intelligenza. Le pietre: tenerle in mano per coccolarle, raschiarle, e trovarne l’anima non la forma.

È risaputo che i primi dieci anni di vita sono i più importanti per la formazione di un uomo; il resto è una sovrapposizione a un futuro già stabilito. “Nomina sunt consequentia rerum” dicevano i latini e nel nome, Lorenzo, aveva scritto il suo destino.

“Una notte chiesi al cielo di non farmi mai sazio della mia arte e sono stato ascoltato”.

Lì trova la galassia di Andromeda, il negro e l’albedo del museo, il simbolico infinito dell’otto algebrico. Fa al padre, in punto di morte, la promessa di non abbandonare la sua terra, ma sono convinta che quel giuramento è stato solo una trappola. Era la terra che aveva riconosciuto l’autenticità di un suo figlio per trascendere dalle limitazioni umane e proiettarlo nell’infinito mondo.

In una visione distorta, ho sempre raffigurato nel campo dell’arte, nomi illustri che lasciano il luogo d’origine come sciacalli, per transitare in posti più evoluti con civiltà preordinate.

Ognuno cerca il proprio vantaggio, certamente! Ma come si fa a definire una civiltà? Non è forse più appropriato parlare di comunità? La civiltà è un’altra cosa. Impropriamente pensiamo che gli usi e i costumi degli aborigeni siano primitivi poiché non corrispondono ai canoni del mondo occidentale: infatti basta una piccola ricerca per capire che noi, popolo di consumatori, siamo ben lontani dal loro mondo spirituale. Noi chattiamo con gli smartphones, loro con la mente. Mi sovviene l’adozione di un bambino che transita verso un’altra famiglia, assicurandogli beni superiori che la famiglia d’origine non può dare. Ma un bambino se ha due madri, non ha madre. Se Lorenzo avesse transitato per altri lidi, in che direzione sarebbe andato?

Purtroppo non esistono esperienze parallele. Io faccio accenni per intuizioni. Tra luoghi sperduti dove neanche Cristo s’è fermato, nasce il miracolo: la “FATTORIA DELL’ ARTE” come lo scultore l’ha denominata. È lì la chiave per aprire l’universo. Tra i monti Sicani, incastonato tra massi, sorge il teatro più alto del mondo e ANDROMEDA diventa protagonista. I cento otto posti sparsi non a caso, ma seguendo l’ordine della galassia, recitano la commedia della vita per essere proiettati fra quattro miliardi e mezzo di anni in mondi che solo i visionari vedono.

Gli anni, tanti, impiegati da Lorenzo, per la costruzione delle sue opere, non sono orientati al processo di un risultato: il vero artista non pensa al traguardo, né ha una meta.

Lui vede a priori la sua arte in divenire e la colloca laddove lo Spirito soffia: così come quel blocco di pietra, diventato maschera con una potenza più del grido di Munch.

Per il solstizio d’estate, la bocca, che diventa foro, proietta fasci di luce rubati al sole. Si rimane immobili al miracolo!

Erroneamente gli uomini pensano che devozione significhi andare in un luogo di culto, che sia Chiesa, Tempio, Moschea, dove Dio è comprensione, amore generosità. No!

Devozione significa dedicarsi totalmente a ciò che si fa, per incontrare l’intelligenza assoluta. Questo è Lorenzo Reina, l’uomo che parla alle stelle. ( Giuseppina Iacono Baldanza)  

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