di Francesco Principato-fotogallery di Diego Romeo
TeatrOltre e la fedeltà pirandelliana -Per fedeltà pirandelliana qui non si intende solo la trama della commedia, un triangolo amoroso con protagonisti l’ipocrita professor Paolino (l’Uomo), l’arcigno, brutale e bigamo capitano Perella (la Bestia) e la virtuosa e sciatta moglie signora Perella (la Virtù). Non vogliamo chiosare sul duplice ménage à trois, sottaciuto e ben camuffato fin quando una gravidanza extra coniugale rischia di far saltare ogni maschera di perbenismo borghese. Almeno non subito. Non vogliamo commentare all’istante la narrazione di questa commedia di Luigi Pirandello, una delle più discusse del periodo Umoristico/Grottesco e fra le più dibattute. Perché questa sua opera, da lui dichiarata “apologo in tre atti” (farsa/commedia/dramma), non poco sconcerto ha creato al suo debutto del 1919 e nelle immediate repliche, salvo poi divenire una delle commedie più rappresentative con a tema la dissacrazione delle maschere borghesi. Elogiarne oggi la genialità della stesura e l’estro con cui Luigi Pirandello affronta un tema così inquietante e impudico per quel primo dopoguerra, è facile e non si rischia alcun contraddittorio.
Di un’altra fedeltà vogliamo anticipare a scrivere dopo aver visto, al Teatro della Valle per l’estate del Parco Archeologico, la messa in scena di TeatrOltre e del regista Gianleo Licata. “L’uomo, la bestia, la virtù” vista ieri sera ha reso nitidamente quello che più di cento anni fa Luigi Pirandello ha voluto rappresentare al pubblico. Una fedeltà teatrale, interpretativa, perfino quasi testuale della messinscena originale che offre un’immagine limpida dello scrittore. Sena orpelli, senza contaminazioni, senza stravolgimenti temporali, senza riletture, senza invenzioni registiche che poi dell’autore originale fanno sbiadire la vera sostanza. Che poi uno va a teatro e può anche non riconoscere più l’immagine autentica di Pirandello e allora non sa più che commedia stia vedendo, se assiste a un lavoro inedito di metateatro o a un medley da musical.
A dir la verità un piccolo neo l’abbiamo trovato anche in questa rappresentazione: lo spostamento di un ventennio in avanti dell’ambientazione. Ma è un peccato veniale, dedotto soltanto dalle note di “Se potessi avere mille lire al mese”, un peccato veniale che andrebbe eliminato per poter dire: ecco come potrebbe essere andata cento anni fa.
Un peccato veniale che si perdona, soprattutto grazie alle interpretazioni di un cast veramente calato nelle parti: Ignazio Raso (Paolino) e Alessia Cattano (signora Perella) iniziano la pièce caratterizzando e calcando l’iniziale “farsa” per passare gradualmente e con puntualità alla “commedia” e poi al momento drammatico. Nicola Puleo è la Bestia dispotica ma che argomenta con costrutto degno di un erudito quando deve contestare la falsità dell’ipocrita professore. Franco Bruno (il dottor Nino) recita con una freschezza e la naturalezza di chi, per una volta, non ha la pesantezza della regia e può quindi divertirsi a star sul palco. Puntigliose e attente anche le interpretazioni di Annarita Maretta, Monica Pavan e Alessandro Di Stefano, nei ruoli delle cameriere e degli studenti del professore.
E la farsa/commedia/dramma evolve con piacere e interesse del pubblico fino alla fine: l’espediente escogitato dagli amanti sembra sembra aver fallito e la rispettabilità borghese è sul punto di ricorrere perfino all’omicidio pur di mantenere quella onorabilità di facciata. Ma poi la signora Perella chiarisce che ha appianato tutto. La Bestia alla fine è un uomo, forse più dell’Uomo e come tale…
Tutto è salvo, niente è compromesso, soprattutto il teatro di Luigi Pirandello. E gli applausi arrivano copiosi.






















