Ven. Lug 18th, 2025

ROCCO CHINNICI: AD ARAGONA “TRECENTO GIORNI DI SOLE”

Aragona fa memoria del giudice Rocco Chinnici nel 42.mo anniversario della sua uccisione con la testimonianza del figlio Giovanni, autore del libro “Trecento giorni di sole. La vita di mio padre Rocco, un giudice scomodo”, giovedì 31 luglio alle ore 21 in piazza Dante (Mercede) ad Aragona.

A dialogare con l’autore saranno don Angelo Chillura ed Enzo Sardo. Luigi Mula modererà l’incontro ed Enza Cucchiara leggerà alcuni brani del libro.

L’iniziativa è promossa dal Comitato della festa della Madonna della Mercede di Aragona con la collaborazione del Movimento cristiano Lavoratori.

Rocco Chinnici fu ucciso all’età di 58 anni alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di tritolo, in via Pipitone Federico a Palermo, davanti l’ingresso del palazzo in cui abitava. Nell’esplosione trovarono la morte anche il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi e gli agenti della scorta i carabinieri Salvatore Bartolotta (48 anni), originario di Castrofilippo, e Mario Trapassi (32 anni).

Rocco Chinnici ha segnato profondamente la storia giudiziaria della lotta alla mafia.

Come scrive il figlio Giovanni nella “Nota dell’autore”, che costituisce la conclusione del libro (pp. 165 – 172), Rocco Chinnici è stato «l’inventore delle indagini finanziarie, del pool antimafia, del coordinamento della polizia giudiziaria”, di una magistratura specializzata nelle istruttorie dei processi di mafia. È stato “capo e maestro” di Falcone e Borsellino, i primi chiamati a far parte del pool, e di Peppino Di Lello e Leonardo Guarnotta.

Lo si considera l’autore del 416 bis del codice penale, il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, politicamente adottato da Pio La Torre e Virginio Rognoni.

Intuì la potenziale pericolosità del connubio mafia-politica-imprenditoria.

Ha diretto personalmente le indagini degli omicidi Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa.

Il maxiprocesso del 1986 si poté celebrare perché lui aveva avviato le attività dell’ufficio Istruzioni.

«Giudice scomodo» scrive l’autore nel sottotitolo del volume. Aggettivo che riprende spesse volte nella “Nota”: «scomodo per i suoi colleghi di allora, per la cosiddetta Palermo bene, fatta di politici, professionisti, imprenditori e mafiosi… scomodo per il suo impegno, la sua intelligenza, la sua onestà, la sua capacità organizzativa… per la sua straripante produzione giudiziaria… ma scomodo soprattutto per la sua indipendenza». Scomodo perché «un giudice risponde soltanto alla legge e alla propria coscienza». Scomodo perché libero, non appartenente a nessuna “cordata”, senza ambizioni o ricerca di potere. «Forse la sua indipendenza rende scomoda, ancora oggi, la sua memoria.»

Libero perché aveva un solo obiettivo: servire la società e lo Stato, parole che a volte possono sembrare astratte perché non collegabili ad una fisionomia fisica di persone, ma che concretamente significano servire la comunità delle persone per difendere i giusti e i buoni ed impedire ai malvagi di prevaricare e provocare danni.

Egli lavorò «in un clima di ostilità professionale e sociale che contraddistinse soprattutto gli ultimi anni della sua vita, con in più la consapevolezza di correre rischi estremi, insieme ai propri cari, ai propri colleghi e ai propri collaboratori. E il fatto più drammatico era che fu costretto a metabolizzare tale consapevolezza in totale solitudine».

Egli è stato «consapevole del proprio tragico destino ma deciso a spendersi fino all’ultimo».

E questo rende grande ed eroica la persona di Rocco Chinnici.

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