AL “POSTA VECCHIA” UN INVITO A RIFLETTERE
Testo e foto di Diego Romeo
Mi fa senso pensare che mentre a Siracusa il suo teatro di pietra risuona dell’urlo di furore di Elettra per il congiunto ammazzato, qui ad Agrigento il silenzio dei sepolcri domina il teatro di pietra del Parco dell’Addolorata, colpevolmente abbandonato e inutilizzato da una città capitale della cultura alla ricerca di una identità vattelapesca.. Dopo Enrico Lo Verso sei anni fa e Pippo Pattavina tre anni fa, ritorna sulla scena agrigentina “Uno nessuno centomila” primo romanzo scritto da Pirandello che lo scrittore si tenne nel cassetto per circa un quarto di secolo dandolo alle stampe nel 1925. “Romanzo più amaro di tutti—lo definì l’uomo del Caos—profondamente umoristico e di scomposizione della vita”. L’edizione che si è vista l’altra sera al “Posta Vecchia” è firmata dalla regia di Francesco Naccari che col coraggio e l’abnegazione della gente di teatro si è assunto l’onere dell’adattamento e della interpretazione attoriale. Ad affiancarlo , Marcella Lattuca attrice agrigentina che ha offerto in un recente passato buone prove per reggere ruoli di maggiore impegno. Tra gli altri ricordiamo “Ritorno a casa” di Pinter, ruolo che la consacrò attrice duttile per la regia di Francesco Capitano. Il regista Francesco Maria Naccari reduce dalla bella prova in “E’ tutta colpa di Solone” dello scrittore agrigentino Andrea Cirino, si è scelto un ruolo estremamente periglioso , non solo per la soluzione francescana della vicenda. Una scelta di testimonianza che insieme all’adattamento e alla regia lo espomgono a valutazioni che vanno ben oltre le “centomila” valutazioni come Pirandello docet. Di sicuro quel Pirandello che confessava ai suoi familiari “Vado spesso a teatro e mi divertoe me la rido in vederla scena italiana caduta tanto in basso e fatta sgualdrinella isterica e noiosa” oggi sarebbe felice di questa scelta ardita . del Nuovo Piccolo Teatro. Di contro, alla prima, registriamo un pubblico poco propenso ad applaudire, evidentemente incassando lo sganassone pirandelliano e che alla fine ha atteso l’avvio di un isolato applauso per dimostrare la percezione del dolore interiore del protagonista. Fonica e luci di Toni Bruccoleri, le scene con i legni bianchi di Donatella Giannettino risaltano nella scena buia e punteggiano l’azione di Vitangelo nel riconquistare la vita per sconfiggere la forma. Una scelta, questa, che gli costerà un prezzo altissimo donando se stesso e i suoi beni come fece Francesco figlio di Pietro Bernardone di Assisi. Moscarda non è più un personaggio in cerca di autore ma un attore che destina se stesso a farsi personaggio in quella commedia a oltranza che è la vita. Un esempio di trasformismo vitale che dovrebbe pur dire qualcosa ai trasformisti della politica. Una ultima riflessione ci consenta il lettore. Pirandello fa svolgere la vicenda di Gengè Moscarda, Didi e Anna Rosa nel paesotto immaginario di Richieri. Ma Richieri rimanda pure alla “sindrome di Richieri” una rara sindrome caratterizzata da bassa statura, schisi mandibolare, anomalie delle mani e piedi equini. Mi chiedo se questa Agrigento sempre a fondo delle classifiche, del “sovranismo psichico” , dei deputati, degli assessori, dei giornalisti che si dimettono , abbia qualcosa a che fare con qualche sindrome che Pirandello sottotraccia ci ha tramandato. Moltiplicando uno nessuno centomila.























